Progetto di legge 124 ossia come distruggere i sentieri e aprire alla speculazione su boschi.
Il Consiglio Regionale della Lombardia andrà a decidere a breve, probabilmente martedì 8 aprile, sul Progetto di legge (PDL) 124 dal titolo "MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLA LEGGE REGIONALE 5
DICEMBRE 2008, N. 31 (TESTO UNICO DELLE LEGGI REGIONALI IN MATERIA DI
AGRICOLTURA, FORESTE, PESCA E SVILUPPO RURALE)"di iniziativa dei consiglieri Fermi (FI), Bianchi (Lega), Pedrazzini (FI), Altitonante (FI), Romeo (Lega), Rolfi (Lega), Colla (Lega), Sala (Maroni presidente) e Sorte (FI). L'intento dei promotori, o meglio la scusa che usano per giustificare il loro operato, è quella di aiutare lo sviluppo economico e turistico delle zone di montagna e di favorire il recupero dei vecchi terreni terrazzati, ormai diventati bosco, per i giovani che intendono far rivivere l'agricoltura di montagna. L'intento è condivisibile e giusto ma la legge presentata e approvata dalla commissione agricoltura di Regione Lombardia sembra essere più un assalto alla montagna che un aiuto alla montagna. Segue una breve analisi di quanto andrà in discussione, dei suoi impatti e delle opinione di autorevoli portatori d'interesse (che si sono espressi tutti in maniera contraria).
Già il primo articolo appare discutibile, va infatti ad inserire nell'articolo 42 al comma 4 il punto d-ter. L'articolo in questione diventa (in neretto è evidenziata l'aggiunta):
4. Non sono considerati bosco:
a) gli impianti di arboricoltura da legno e gli impianti per la produzione di biomassa legnosa;
b) i filari arborei, i parchi urbani e i giardini;
c) gli orti botanici, i vivai, i piantonai, le coltivazioni per la produzione di alberi di Natale e i frutteti, esclusi i castagneti da frutto in attualità di coltura;
d) le formazioni vegetali irrilevanti sotto il profilo ecologico, paesaggistico e selvicolturale;
d bis) i terreni colonizzati spontaneamente da specie arboree o arbustive, quando il processo è in atto da meno di quindici anni per i comuni classificati montani o svantaggiati e da meno di cinque anni per i restanti comuni.
d ter) i terreni edificabili a destinazione produttiva ai sensi degli strumenti urbanistici vigenti, colonizzati spontaneamente da specie arboree o arbustive, quando il processo è in atto da meno di quindici anni
Come si osserva i punti precedenti (a, b, c, d) riguardano piantagioni di alberi e forme vegetali irrilevanti; già il punto d-bis specifica che non è bosco se il terreno è colonizzato da meno di 15 anni limitandosi ai soli comuni montani. Appare quantomeno curioso che il punto successivo (che vuole essere introdotto) non solo estende una deroga simile d-bis a tutto il territorio, ma specifica che sono terreni edificabili. Risalta quindi che la scusante di permettere il ritorno a destinazione agricola di terreni colonizzati da essenze arboree è solo una foglia di fico, il vero intento è di permettere l'edificazione dei suoli colonizzati da specie arboree. Si prefigura una nuova colata di cemento su terreni ad ora definiti boschivi, altro che ritorno all'agricoltura!
L'emendamento successivo, dall'aspetto innocuo, rende più blande le autorizzazioni necessarie alla trasformazione del bosco. Non saranno più solo enti "terzi" a permettere la trasformazione del bosco ma anche l'unione dei comuni. L'unione dei comuni di fatto può essere formata anche solo da 2 comuni, pertanto ci si avvicina all'obiettivo che siano i comuni a poter permettere interventi di trasformazione sul bosco (con gli ovvi interessi particolari dei proprietari). Il comma 2 dell'articolo 43 diverrebbe:
2.Gli interventi di trasformazione del bosco sono vietati, fatte salve le autorizzazioni rilasciate dalle province, dalle comunità montane o Unioni dei Comuni e dagli enti gestori di parchi e riserve regionali, per il territorio di rispettiva competenza, compatibilmente con la conservazione della biodiversità, con la stabilità dei terreni, con il regime delle acque, con la difesa dalle valanghe e dalla caduta dei massi, con la tutela del paesaggio, con l'azione frangivento e di igiene ambientale locale. La conservazione della biodiversità si basa sulla salvaguardia e gestione sostenibile del patrimonio forestale mediante forme appropriate di selvicoltura.
Sulla stessa linea si pone la modifica al punto a del comma 4 (sempre dell'articolo 43) in cui si deroga al vincolo imposto allo scadere dei piani forestali. Si passa infatti da "opere di pubblica utilità" a "opere pubbliche e di pubblica utilità" lasciando intendere un ampliamento delle maglie della deroga.
La modifica successiva va a incidere sulle compensazioni ambientale/forestale. Si passa da compensazioni "minime" alla loro esclusione per le opere "di viabilità agro-silvo-pastorale o altri interventi di miglioramento forestale previsti in piani di indirizzo forestale o in piani di assestamento forestale approvati;" così come vengono annullate le compensazioni ambientali per le "opere pubbliche e di pubblica utilità" nelle zone montane. La linea d'azione pare essere costante: diminuire i vincoli e gli oneri, non favorire uno sviluppo armonico delle aree montane e forestali. La diminuzione delle compensazioni appare ancor più paradossale se si considera che l'articolo su cui si interviene è nel Capo II da titolo "difesa del patrimonio silvo-pastorale".
Pur avendo allentato i vincoli esistenti i consiglieri hanno deciso di definire un'ulteriore deroga, vengono infatti aggiunti all'articolo 43 i commi 8-bis e 8-ter:
“8 bis. In caso di interventi di recupero agronomico di prati permanenti, pascoli o colture agrarie terrazzate attraverso l’eliminazione della colonizzazione boschiva in atto da non oltre trenta anni, si applica la disciplina prevista dall’articolo 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e non è prevista l’esecuzione di interventi compensativi ai sensi dell’articolo 43, comma 3.
8 ter. Il comma 8 bis si applica quando siano contemporaneamente rispettate le seguenti condizioni:
a) la superficie boscata direttamente interessata dal recupero non abbia già beneficiato di contributi pubblici per il miglioramento forestale;
b) la superficie boscata direttamente interessata dal recupero non sia stata classificata dalla pianificazione territoriale come area forestale importante per la rete ecologica e la biodiversità;
c) il recupero agronomico non preveda la realizzazione di costruzioni edilizie né di nuove opere civili, ad eccezione di quelle di pubblica utilità e di quelle a servizio del fondo, per un periodo di almeno venti anni.”.
Si nota in primis come per i terreni terrazzati il vincolo non è oltre i 15 anni di colonizzazione (come in precedenza) ma da 30 anni, ben il doppio. inoltre il punto c del comma 8-ter è particolarmente critico in quanto vincola il terreno solo per 20 anni ed esclude dal vincolo i fabbricati di servizio fornendo un ulteriore appiglio a possibili abusi.
Anche le modifiche all'articolo 44 non sono da meno. Viene infatti diminuito il vincolo sulle superfici (si passa da superficie a superficie coperta) e scavi (da 50 a 100 metri cubi) entro i quali non è necessaria autorizzazione a trasformazione del bosco.
Si procede infine a modificare l'articolo 59 ossia ad aprire alla circolazione dei motocross.
Viene modificato il comma 3 eliminando il vincolo sui sentieri e sulle mulattiere, pertanto si concede il transito dei mezzi motorizzati su sentieri e mulattiere senza alcun permesso! (viene riportato il comma originale con in neretto la parte che verrà cancellata):
3. Sulle strade agro-silvo-pastorali, sulle mulattiere e sui sentieri è vietato il transito dei mezzi motorizzati, ad eccezione di quelli di servizio e di quelli autorizzati in base al regolamento comunale di cui al comma 1.
Sembra un atto vile dei consiglieri che non propongono esplicitamente di cancellare la parte in questione ma, da politici navigati, propongono di riscrivere il comma. Peccato che sia identico al precedente eccetto il riferimento a sentieri e mulattiere che viene eliminato. Vi è anche un'altra discrepanza in quanto l'apertura alla circolazione dei mezzi motorizzati su sentieri e mulattiere va contro lo spirito di quanto specificato nel comma 1 cui si fa riferimento ("Le strade agro-silvo-pastorali sono infrastrutture finalizzate a un utilizzo prevalente di tipo agro-silvo-pastorale, non adibite al pubblico transito").
L'apertura alla circolazione su mulattiere e sentieri viene esplicitato nei commi 4 e 4-bis ove si intende permettere la circolazione anche sui pascoli e nei boschi!. Di seguito viene riportato il comma 4 nella sua versione originale e successivamente come verrebbe riscritto (con evidenziati in neretto i punti più critici):
4. È altresì vietato il transito dei mezzi motorizzati, ad eccezione di quelli autorizzati dalla Regione, sui terreni appartenenti al patrimonio forestale della stessa, nonché in tutti i boschi e nei pascoli, ad eccezione dei mezzi di servizio.
4. E’ altresì vietato il transito dei mezzi motorizzati nei boschi, nei pascoli, sulle mulattiere e sui sentieri, ad eccezione dei mezzi di servizio e di quelli autorizzati dalla Regione per la circolazione sulle proprie aree demaniali.”
Infine ciliegina sulla torta, se non si fosse ancora capito l'intento vi è una deroga ulteriore. Con delibera regionale verranno infatti definiti i criteri affinché i proprietari dei terreni possano derogare al comma 3 e 4 (commentati sopra). Viene inserito il comma 4-bis:
4 bis. In deroga ai divieti di cui ai commi 3 e 4, con apposito regolamento regionale sono definiti i criteri, le modalità e la procedura con cui gli enti proprietari, per il territorio di rispettiva competenza, possono autorizzare il transito temporaneo di mezzi a motore. Qualora il territorio interessato dall’autorizzazione sia ricompreso in un’area protetta regionale, l’autorizzazione è subordinata al parere preventivo vincolante dell’ente gestore
Si noti bene che queste deroghe possono interessare anche le aree protette!
Già il primo articolo appare discutibile, va infatti ad inserire nell'articolo 42 al comma 4 il punto d-ter. L'articolo in questione diventa (in neretto è evidenziata l'aggiunta):
4. Non sono considerati bosco:
a) gli impianti di arboricoltura da legno e gli impianti per la produzione di biomassa legnosa;
b) i filari arborei, i parchi urbani e i giardini;
c) gli orti botanici, i vivai, i piantonai, le coltivazioni per la produzione di alberi di Natale e i frutteti, esclusi i castagneti da frutto in attualità di coltura;
d) le formazioni vegetali irrilevanti sotto il profilo ecologico, paesaggistico e selvicolturale;
d bis) i terreni colonizzati spontaneamente da specie arboree o arbustive, quando il processo è in atto da meno di quindici anni per i comuni classificati montani o svantaggiati e da meno di cinque anni per i restanti comuni.
d ter) i terreni edificabili a destinazione produttiva ai sensi degli strumenti urbanistici vigenti, colonizzati spontaneamente da specie arboree o arbustive, quando il processo è in atto da meno di quindici anni
Come si osserva i punti precedenti (a, b, c, d) riguardano piantagioni di alberi e forme vegetali irrilevanti; già il punto d-bis specifica che non è bosco se il terreno è colonizzato da meno di 15 anni limitandosi ai soli comuni montani. Appare quantomeno curioso che il punto successivo (che vuole essere introdotto) non solo estende una deroga simile d-bis a tutto il territorio, ma specifica che sono terreni edificabili. Risalta quindi che la scusante di permettere il ritorno a destinazione agricola di terreni colonizzati da essenze arboree è solo una foglia di fico, il vero intento è di permettere l'edificazione dei suoli colonizzati da specie arboree. Si prefigura una nuova colata di cemento su terreni ad ora definiti boschivi, altro che ritorno all'agricoltura!
L'emendamento successivo, dall'aspetto innocuo, rende più blande le autorizzazioni necessarie alla trasformazione del bosco. Non saranno più solo enti "terzi" a permettere la trasformazione del bosco ma anche l'unione dei comuni. L'unione dei comuni di fatto può essere formata anche solo da 2 comuni, pertanto ci si avvicina all'obiettivo che siano i comuni a poter permettere interventi di trasformazione sul bosco (con gli ovvi interessi particolari dei proprietari). Il comma 2 dell'articolo 43 diverrebbe:
2.Gli interventi di trasformazione del bosco sono vietati, fatte salve le autorizzazioni rilasciate dalle province, dalle comunità montane o Unioni dei Comuni e dagli enti gestori di parchi e riserve regionali, per il territorio di rispettiva competenza, compatibilmente con la conservazione della biodiversità, con la stabilità dei terreni, con il regime delle acque, con la difesa dalle valanghe e dalla caduta dei massi, con la tutela del paesaggio, con l'azione frangivento e di igiene ambientale locale. La conservazione della biodiversità si basa sulla salvaguardia e gestione sostenibile del patrimonio forestale mediante forme appropriate di selvicoltura.
Sulla stessa linea si pone la modifica al punto a del comma 4 (sempre dell'articolo 43) in cui si deroga al vincolo imposto allo scadere dei piani forestali. Si passa infatti da "opere di pubblica utilità" a "opere pubbliche e di pubblica utilità" lasciando intendere un ampliamento delle maglie della deroga.
La modifica successiva va a incidere sulle compensazioni ambientale/forestale. Si passa da compensazioni "minime" alla loro esclusione per le opere "di viabilità agro-silvo-pastorale o altri interventi di miglioramento forestale previsti in piani di indirizzo forestale o in piani di assestamento forestale approvati;" così come vengono annullate le compensazioni ambientali per le "opere pubbliche e di pubblica utilità" nelle zone montane. La linea d'azione pare essere costante: diminuire i vincoli e gli oneri, non favorire uno sviluppo armonico delle aree montane e forestali. La diminuzione delle compensazioni appare ancor più paradossale se si considera che l'articolo su cui si interviene è nel Capo II da titolo "difesa del patrimonio silvo-pastorale".
Pur avendo allentato i vincoli esistenti i consiglieri hanno deciso di definire un'ulteriore deroga, vengono infatti aggiunti all'articolo 43 i commi 8-bis e 8-ter:
“8 bis. In caso di interventi di recupero agronomico di prati permanenti, pascoli o colture agrarie terrazzate attraverso l’eliminazione della colonizzazione boschiva in atto da non oltre trenta anni, si applica la disciplina prevista dall’articolo 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e non è prevista l’esecuzione di interventi compensativi ai sensi dell’articolo 43, comma 3.
8 ter. Il comma 8 bis si applica quando siano contemporaneamente rispettate le seguenti condizioni:
a) la superficie boscata direttamente interessata dal recupero non abbia già beneficiato di contributi pubblici per il miglioramento forestale;
b) la superficie boscata direttamente interessata dal recupero non sia stata classificata dalla pianificazione territoriale come area forestale importante per la rete ecologica e la biodiversità;
c) il recupero agronomico non preveda la realizzazione di costruzioni edilizie né di nuove opere civili, ad eccezione di quelle di pubblica utilità e di quelle a servizio del fondo, per un periodo di almeno venti anni.”.
Si nota in primis come per i terreni terrazzati il vincolo non è oltre i 15 anni di colonizzazione (come in precedenza) ma da 30 anni, ben il doppio. inoltre il punto c del comma 8-ter è particolarmente critico in quanto vincola il terreno solo per 20 anni ed esclude dal vincolo i fabbricati di servizio fornendo un ulteriore appiglio a possibili abusi.
Anche le modifiche all'articolo 44 non sono da meno. Viene infatti diminuito il vincolo sulle superfici (si passa da superficie a superficie coperta) e scavi (da 50 a 100 metri cubi) entro i quali non è necessaria autorizzazione a trasformazione del bosco.
Si procede infine a modificare l'articolo 59 ossia ad aprire alla circolazione dei motocross.
Viene modificato il comma 3 eliminando il vincolo sui sentieri e sulle mulattiere, pertanto si concede il transito dei mezzi motorizzati su sentieri e mulattiere senza alcun permesso! (viene riportato il comma originale con in neretto la parte che verrà cancellata):
3. Sulle strade agro-silvo-pastorali, sulle mulattiere e sui sentieri è vietato il transito dei mezzi motorizzati, ad eccezione di quelli di servizio e di quelli autorizzati in base al regolamento comunale di cui al comma 1.
Sembra un atto vile dei consiglieri che non propongono esplicitamente di cancellare la parte in questione ma, da politici navigati, propongono di riscrivere il comma. Peccato che sia identico al precedente eccetto il riferimento a sentieri e mulattiere che viene eliminato. Vi è anche un'altra discrepanza in quanto l'apertura alla circolazione dei mezzi motorizzati su sentieri e mulattiere va contro lo spirito di quanto specificato nel comma 1 cui si fa riferimento ("Le strade agro-silvo-pastorali sono infrastrutture finalizzate a un utilizzo prevalente di tipo agro-silvo-pastorale, non adibite al pubblico transito").
L'apertura alla circolazione su mulattiere e sentieri viene esplicitato nei commi 4 e 4-bis ove si intende permettere la circolazione anche sui pascoli e nei boschi!. Di seguito viene riportato il comma 4 nella sua versione originale e successivamente come verrebbe riscritto (con evidenziati in neretto i punti più critici):
4. È altresì vietato il transito dei mezzi motorizzati, ad eccezione di quelli autorizzati dalla Regione, sui terreni appartenenti al patrimonio forestale della stessa, nonché in tutti i boschi e nei pascoli, ad eccezione dei mezzi di servizio.
4. E’ altresì vietato il transito dei mezzi motorizzati nei boschi, nei pascoli, sulle mulattiere e sui sentieri, ad eccezione dei mezzi di servizio e di quelli autorizzati dalla Regione per la circolazione sulle proprie aree demaniali.”
Infine ciliegina sulla torta, se non si fosse ancora capito l'intento vi è una deroga ulteriore. Con delibera regionale verranno infatti definiti i criteri affinché i proprietari dei terreni possano derogare al comma 3 e 4 (commentati sopra). Viene inserito il comma 4-bis:
4 bis. In deroga ai divieti di cui ai commi 3 e 4, con apposito regolamento regionale sono definiti i criteri, le modalità e la procedura con cui gli enti proprietari, per il territorio di rispettiva competenza, possono autorizzare il transito temporaneo di mezzi a motore. Qualora il territorio interessato dall’autorizzazione sia ricompreso in un’area protetta regionale, l’autorizzazione è subordinata al parere preventivo vincolante dell’ente gestore
Si noti bene che queste deroghe possono interessare anche le aree protette!
Di seguito sono riportati alcuni autorevoli pareri sul progetto di legge espressi nella Commissione Agricoltura di Regione Lombardia:
Ente Regionale Servizi all'Agricoltura e foreste (ERSAF): ha fatto intendere la propria contrarietà al progetto. Per quanto riguarda la viabilità ritiene che il regolamento regionale sulla viabilità forestale sia già idoneo e che il tentativo di semplificazione proposto dal PDL rischia di favorire i contenziosi. ERSAF stesso ha preso una posizione critica per quanto riguarda l'indebolimento delle compensazioni ambientali/forestali. Data l'importanza delle zone boschive dal punto di vista ecologico ritiene la presenza delle compensazioni fondamentale. La modifica del lasso di tempo (da 15 a 30 anni) al di sotto del quale non vale la definizione di bosco è ritenuta da ERSAF un argomento delicato, in quanto il limite di 30 anni presenterebbe complicazioni tecniche nella sua corretta definizione facilitando i contenziosi amministrativi e penali. Secondo ERSAF il problema fondamentale non è la definizione di bosco ma l'attuazione di misure atte a favorire gli alpeggi e l'attività agricola. Come esempio virtuoso viene riportata la creazione di "banche della terra" per valorizzare le terre incolte come avviene in Toscana e Liguria. Citando testualmente ERSAF "Per concludere, insomma, ci sembra che sia più importante il tema del costruire, immaginare, supportare delle politiche di sostegno all’imprenditorialità agricola nelle zone di montagna, piuttosto che definire una tempistica, un tempo entro il quale i boschi possano essere considerati tali o meno."
Orobievive (coordinamento di numerose associazioni tra cui Legambiente, WWF, Italia Nostra, Mountain Wilderness): critica il PDL in quanto già adesso "l’impatto sull’ambiente montano della pratica motociclistica massiva è diventato devastante" e "l’attuale attività diportistica si svolge di fatto senza nessuna forma di controllo non solo su strade agro-silvo-pastorali, ma su mulattiere, sentieri, prati, pascoli, torbiere, ghiaioni e anche all’interno dei SIC e ZPS.". Evidenzia anche il danno rilevante al selciato storico delle mulattiere e all'erosione dei terreni. Inoltre "E’ rarissimo il ricorso da parte dei Comuni all’escussione delle garanzie se richieste al momento dell’autorizzazione e labile è il controllo successivo del ripristino dei luoghi che la legge pone a carico degli organizzatori". Inoltre "La relazione accompagnatoria del Progetto di Legge afferma anche che le attività motoristiche apportano reddito in aree depresse quali quelle di montagna. Anche in questo caso sottolineiamo che si tratta di una pura speranza. E’ infatti normale che i gruppi di escursionisti motociclistici effettuino uscite di durata limitata a poche ore, giusto il tempo necessario per raggiungere il punto di partenza partendo dalla città o dai paesi di fondovalle, e fatto il giro prestabilito apportino all’economia dei paesi montani, se va bene, la consumazione di un caffè."
Club Alpino Italiano (CAI) Lombardia: ha rimarcato la propria contrarietà alla circolazione dei mezzi motorizzati su sentieri, pascoli e boschi. Dice la Presidente CAI Lombardia "Vorrei anche segnalare che il CAI ha 2.000 volontari in Lombardia altamente professionalizzati, che da anni studiano come approcciarsi alla rete sentieristica, come segnarla, come valorizzarla e lavorano materialmente per il ripristino, per la manutenzione dei sentieri. Chiaramente se una sezione locale mette a posto il proprio sentiero e poi su questo sentiero viene fatta una manifestazione con il motocross, credo difficilmente sia poi motivata a rifare il lavoro la settimana successiva." Ha posizioni molto critiche sull'aumento da 15 a 30 anni per la definizione di bosco così come alla riduzione delle compensazioni.
Legambiente: critica la riduzione delle compensazioni per le opere pubbliche e, facendo riferimento a documenti della Direzione Generale (DG) Agricoltura, afferma che "chi ha distrutto i nostri boschi, per il 90% è il pubblico e la pubblica utilità". Un'ulteriore indebolimento delle compensazioni risulta essere sbagliato perché "quando la distruzione del bosco deve essere a favore dell’agricoltura o dell’attività montana, la normativa attuale prevede già delle grosse facilitazioni.". Anche sulla proposta di aumentare da 15 a 30 gli anni necessari alla definizione di bosco il giudizio è netto: "inopportuna e inutile", "se passasse questa norma, io penso, ma l’ha già detto la Direzione Agricoltura, una buona parte dei nostri boschi montani non sarebbe più protetta dal concetto della definizione di bosco, e non sarebbe più protetto non per favorire l’uso agricolo, ma per favorire ben altri usi che non sono né quelli agricoli, né quelli strettamente legati all’agricoltura montana". Infine "il danno dei mezzi motorizzati non è solo per la vegetazione ma è anche per la fauna. Sarebbe paradossale che quello che non è permesso ai cacciatori venisse permesso ai mezzi motorizzati". Secondo Legambiente il problema principale, per un rilancio agricolo e forestale, è una ripresa della filiera del bosco tra proprietari, utilizzatori e segherie.
Università della Montagna: sulla questione dell'accesso dei mezzi motorizzati ritiene che sia sbagliato "pensare di far diventare i boschi Disneyland dove d’inverno ci vanno le motoslitte, piuttosto che poi le motociclette. Credo che sia veramente eccessivo. Penso che le strade forestali dovrebbero essere utilizzate per gestire il bosco, per andare, tagliare, ripiantumare, lavorare nel bosco, dare il reddito alla gente che vive in montagna".
Fondo Ambiente Italia (FAI) Lombardia: fa proprie tutte le critiche precedenti e segnala come sia arbitrario e incorretto (in base alla legge 227/2001) definire una scadenza temporale. Bisognerebbe recuperare i paesaggi rurali d'interesse storico culturali come stanno facendo all'Alpe Pedroria in Valtellina.
Ente Regionale Servizi all'Agricoltura e foreste (ERSAF): ha fatto intendere la propria contrarietà al progetto. Per quanto riguarda la viabilità ritiene che il regolamento regionale sulla viabilità forestale sia già idoneo e che il tentativo di semplificazione proposto dal PDL rischia di favorire i contenziosi. ERSAF stesso ha preso una posizione critica per quanto riguarda l'indebolimento delle compensazioni ambientali/forestali. Data l'importanza delle zone boschive dal punto di vista ecologico ritiene la presenza delle compensazioni fondamentale. La modifica del lasso di tempo (da 15 a 30 anni) al di sotto del quale non vale la definizione di bosco è ritenuta da ERSAF un argomento delicato, in quanto il limite di 30 anni presenterebbe complicazioni tecniche nella sua corretta definizione facilitando i contenziosi amministrativi e penali. Secondo ERSAF il problema fondamentale non è la definizione di bosco ma l'attuazione di misure atte a favorire gli alpeggi e l'attività agricola. Come esempio virtuoso viene riportata la creazione di "banche della terra" per valorizzare le terre incolte come avviene in Toscana e Liguria. Citando testualmente ERSAF "Per concludere, insomma, ci sembra che sia più importante il tema del costruire, immaginare, supportare delle politiche di sostegno all’imprenditorialità agricola nelle zone di montagna, piuttosto che definire una tempistica, un tempo entro il quale i boschi possano essere considerati tali o meno."
Orobievive (coordinamento di numerose associazioni tra cui Legambiente, WWF, Italia Nostra, Mountain Wilderness): critica il PDL in quanto già adesso "l’impatto sull’ambiente montano della pratica motociclistica massiva è diventato devastante" e "l’attuale attività diportistica si svolge di fatto senza nessuna forma di controllo non solo su strade agro-silvo-pastorali, ma su mulattiere, sentieri, prati, pascoli, torbiere, ghiaioni e anche all’interno dei SIC e ZPS.". Evidenzia anche il danno rilevante al selciato storico delle mulattiere e all'erosione dei terreni. Inoltre "E’ rarissimo il ricorso da parte dei Comuni all’escussione delle garanzie se richieste al momento dell’autorizzazione e labile è il controllo successivo del ripristino dei luoghi che la legge pone a carico degli organizzatori". Inoltre "La relazione accompagnatoria del Progetto di Legge afferma anche che le attività motoristiche apportano reddito in aree depresse quali quelle di montagna. Anche in questo caso sottolineiamo che si tratta di una pura speranza. E’ infatti normale che i gruppi di escursionisti motociclistici effettuino uscite di durata limitata a poche ore, giusto il tempo necessario per raggiungere il punto di partenza partendo dalla città o dai paesi di fondovalle, e fatto il giro prestabilito apportino all’economia dei paesi montani, se va bene, la consumazione di un caffè."
Club Alpino Italiano (CAI) Lombardia: ha rimarcato la propria contrarietà alla circolazione dei mezzi motorizzati su sentieri, pascoli e boschi. Dice la Presidente CAI Lombardia "Vorrei anche segnalare che il CAI ha 2.000 volontari in Lombardia altamente professionalizzati, che da anni studiano come approcciarsi alla rete sentieristica, come segnarla, come valorizzarla e lavorano materialmente per il ripristino, per la manutenzione dei sentieri. Chiaramente se una sezione locale mette a posto il proprio sentiero e poi su questo sentiero viene fatta una manifestazione con il motocross, credo difficilmente sia poi motivata a rifare il lavoro la settimana successiva." Ha posizioni molto critiche sull'aumento da 15 a 30 anni per la definizione di bosco così come alla riduzione delle compensazioni.
Legambiente: critica la riduzione delle compensazioni per le opere pubbliche e, facendo riferimento a documenti della Direzione Generale (DG) Agricoltura, afferma che "chi ha distrutto i nostri boschi, per il 90% è il pubblico e la pubblica utilità". Un'ulteriore indebolimento delle compensazioni risulta essere sbagliato perché "quando la distruzione del bosco deve essere a favore dell’agricoltura o dell’attività montana, la normativa attuale prevede già delle grosse facilitazioni.". Anche sulla proposta di aumentare da 15 a 30 gli anni necessari alla definizione di bosco il giudizio è netto: "inopportuna e inutile", "se passasse questa norma, io penso, ma l’ha già detto la Direzione Agricoltura, una buona parte dei nostri boschi montani non sarebbe più protetta dal concetto della definizione di bosco, e non sarebbe più protetto non per favorire l’uso agricolo, ma per favorire ben altri usi che non sono né quelli agricoli, né quelli strettamente legati all’agricoltura montana". Infine "il danno dei mezzi motorizzati non è solo per la vegetazione ma è anche per la fauna. Sarebbe paradossale che quello che non è permesso ai cacciatori venisse permesso ai mezzi motorizzati". Secondo Legambiente il problema principale, per un rilancio agricolo e forestale, è una ripresa della filiera del bosco tra proprietari, utilizzatori e segherie.
Università della Montagna: sulla questione dell'accesso dei mezzi motorizzati ritiene che sia sbagliato "pensare di far diventare i boschi Disneyland dove d’inverno ci vanno le motoslitte, piuttosto che poi le motociclette. Credo che sia veramente eccessivo. Penso che le strade forestali dovrebbero essere utilizzate per gestire il bosco, per andare, tagliare, ripiantumare, lavorare nel bosco, dare il reddito alla gente che vive in montagna".
Fondo Ambiente Italia (FAI) Lombardia: fa proprie tutte le critiche precedenti e segnala come sia arbitrario e incorretto (in base alla legge 227/2001) definire una scadenza temporale. Bisognerebbe recuperare i paesaggi rurali d'interesse storico culturali come stanno facendo all'Alpe Pedroria in Valtellina.
Appello urgente di WWF Lombardia, Legambiente Lombardia e Verdi Lombardia ai Consiglieri Regionali della Lombardia sullo smembramento parco nazionale dello Stelvio.
Milano, 5 febbraio 2014
- Al Presidente del Consiglio Regionale
- Ai Consiglieri Regionali della Lombardia
Parco Nazionale dello Stelvio - appello urgente
Illustre Presidente, Illustri Consiglieri,
nella giornata di ieri si è riunita la Commissione Paritetica dei Dodici, l'organismo Stato-Province Autonome previsto dagli Statuti di Autonomia delle Province di Trento e Bolzano, per l'esame della norma di attuazione relativa al Parco Nazionale dello Stelvio: tradotto, significa che un organismo, espressione di queste due autonomie speciali, elaborerà la proposta, destinata a trasformarsi in Decreto del Presidente della Repubblica, per lo smembramento del Parco Nazionale più grande dell'intero arco alpino, a cui la Lombardia contribuisce con una rilevante dote territoriale, nelle province di Sondrio e di Brescia, pari a 60.000 ettari.
Si sta ripetendo dunque quanto già avvenuto con il maldestro tentativo compiuto con il decreto del 22 dicembre 2010 – che accoglieva la norma d’attuazione votata un mese prima dalla Commissione dei Dodici, senza l’intesa con la Regione Lombardia – e che ha già provocato danni enormi, e cioè la sostanziale e perdurante paralisi dell’attività dell’Ente, dovuta al mancato rinnovo degli organi collegiali scaduti da molti mesi:
Di fatto, da oltre tre anni il parco è privo dell’organo collegiale di vertice (Consiglio Direttivo), per mancata nomina dal Ministro dell’Ambiente, e conseguentemente manca anche un rappresentante delle associazioni ambientaliste.
Questa situazione aggrava la condizione di sostanziale non-governo dell'area protetta, il cui Piano di Gestione giace da anni presso gli uffici ministeriali, in attesa di approvazione definitiva.
L'unico elemento di novità rispetto al 2010 è la intervenuta approvazione della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di Stabilità 2014) che stabilisce che “mediante intese tra lo Stato, la regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano, da concludere entro il 30 giugno 2014, sono definiti gli ambiti per il trasferimento o la delega delle funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti, in particolare, ai servizi ferroviari di interesse locale per la Valle d'Aosta, alle Agenzie fiscali dello Stato e alle funzioni amministrative, organizzative e di supporto riguardanti la giustizia civile, penale e minorile, con esclusione di quelle relative al personale di magistratura, nonchè al Parco nazionale dello Stelvio, per le province autonome di Trento e di Bolzano. Con apposite norme di attuazione si provvede al completamento del trasferimento o della delega delle funzioni statali oggetto dell'intesa.” (comma 515).
Nessuna novità riguarda invece la Regione Lombardia, che pure del Parco è 'azionista di maggioranza' in termini di superficie territoriale: la legge, oggi come allora, non dispone alcuna necessità di intesa con la Regione Lombardia.
Consideriamo gravissimo, oltre che lesivo delle prerogative istituzionali di Regione Lombardia, che il futuro assetto istituzionale, organizzativo e gestionale di una delle principali aree protette d’Italia sia deciso unilateralmente senza un preventivo confronto con tutti gli interlocutori interessati (Ente Parco, Ministero dell’Ambiente, Province autonome di Trento e di Bolzano, Regione Lombardia, Comuni del Parco, comunità locali, mondo scientifico, associazioni di protezione ambientale, cittadini). Oggi come allora, si ritiene necessario che Regione Lombardia agisca esercitando le prerogative istituzionali che dovrebbero vederla, con pari dignità, partecipe di decisioni così rilevanti per un'area che ricopre il 2,5% del territorio regionale, portando la questione all’esame del Consiglio Regionale della Lombardia, marcando la differenza con la vicina Regione a statuto speciale, in cui la questione non è stata portata neppure nelle assemblee elettive delle Province Autonome.
Crediamo che sia assolutamente inaccettabile che il destino di un'area protetta così importante, istituita, lo ricordiamo, nel lontano 1935, venga definito all'interno di un direttorio ristretto, pur costituzionalmente riconosciuto, formato da 12 membri in alcun modo rappresentativi delle comunità -locali e regionali- di riferimento, ed entro cui non siede nemmeno un rappresentante della regione in cui si estende il 45% del territorio protetto.
Per questo siamo a esortare i Consiglieri Regionali della Lombardia all'assunzione urgente di una determinazione che, nel far valere le prerogative istituzionali della nostra regione, imponga di sospendere la norma di attuazione sul Parco Nazionale dello Stelvio in attesa di un approfondito esame della problematica
- nelle Commissioni Consiliari Regionali
- nel Consiglio Regionale della Lombardia
- nei Consigli Provinciali di Trento e di Bolzano e della Regione Trentino – Alto Adige/ Südtirol
gli scriventi ribadiscono la loro contrarietà allo smembramento del Parco Nazionale dello Stelvio, rivendicano per il Parco una pianificazione unitaria e il mantenimento della presenza di una governance aperta alle associazioni e al loro ruolo di garanzia e partecipazione, e al contempo auspicano che la Regione Lombardia si faccia promotrice di una energica iniziativa 'rifondativa' del Parco Nazionale, con la consapevolezza che la grave situazione attuale, per quanto inaccettabile per modalità istituzionale, assume come giustificanti proprio l'inerzia e i comportamenti contraddittori (emersi con particolare virulenza in occasione dei Mondiali di Sci del 2005 svoltisi nel territorio protetto, giustamente additati a livello internazionale come pessima pratica sotto il profilo della sostenibilità ambientale) della componente lombarda del Consorzio di Gestione.
Fiduciosi in una fattiva assunzione di ruolo da parte del Consiglio Regionale della Lombardia, con l'occasione porgiamo cordiali saluti
Milano, 5 febbraio 2014
- Al Presidente del Consiglio Regionale
- Ai Consiglieri Regionali della Lombardia
Parco Nazionale dello Stelvio - appello urgente
Illustre Presidente, Illustri Consiglieri,
nella giornata di ieri si è riunita la Commissione Paritetica dei Dodici, l'organismo Stato-Province Autonome previsto dagli Statuti di Autonomia delle Province di Trento e Bolzano, per l'esame della norma di attuazione relativa al Parco Nazionale dello Stelvio: tradotto, significa che un organismo, espressione di queste due autonomie speciali, elaborerà la proposta, destinata a trasformarsi in Decreto del Presidente della Repubblica, per lo smembramento del Parco Nazionale più grande dell'intero arco alpino, a cui la Lombardia contribuisce con una rilevante dote territoriale, nelle province di Sondrio e di Brescia, pari a 60.000 ettari.
Si sta ripetendo dunque quanto già avvenuto con il maldestro tentativo compiuto con il decreto del 22 dicembre 2010 – che accoglieva la norma d’attuazione votata un mese prima dalla Commissione dei Dodici, senza l’intesa con la Regione Lombardia – e che ha già provocato danni enormi, e cioè la sostanziale e perdurante paralisi dell’attività dell’Ente, dovuta al mancato rinnovo degli organi collegiali scaduti da molti mesi:
- il Consiglio direttivo dal 26 dicembre 2010;
- il Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Bolzano dal 12 marzo 2011;
- il Comitato di gestione per la Provincia autonoma di Trento dal 16 luglio 2011;
- il Comitato di gestione per la Regione Lombardia dal 3 ottobre 2012.
Di fatto, da oltre tre anni il parco è privo dell’organo collegiale di vertice (Consiglio Direttivo), per mancata nomina dal Ministro dell’Ambiente, e conseguentemente manca anche un rappresentante delle associazioni ambientaliste.
Questa situazione aggrava la condizione di sostanziale non-governo dell'area protetta, il cui Piano di Gestione giace da anni presso gli uffici ministeriali, in attesa di approvazione definitiva.
L'unico elemento di novità rispetto al 2010 è la intervenuta approvazione della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di Stabilità 2014) che stabilisce che “mediante intese tra lo Stato, la regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano, da concludere entro il 30 giugno 2014, sono definiti gli ambiti per il trasferimento o la delega delle funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti, in particolare, ai servizi ferroviari di interesse locale per la Valle d'Aosta, alle Agenzie fiscali dello Stato e alle funzioni amministrative, organizzative e di supporto riguardanti la giustizia civile, penale e minorile, con esclusione di quelle relative al personale di magistratura, nonchè al Parco nazionale dello Stelvio, per le province autonome di Trento e di Bolzano. Con apposite norme di attuazione si provvede al completamento del trasferimento o della delega delle funzioni statali oggetto dell'intesa.” (comma 515).
Nessuna novità riguarda invece la Regione Lombardia, che pure del Parco è 'azionista di maggioranza' in termini di superficie territoriale: la legge, oggi come allora, non dispone alcuna necessità di intesa con la Regione Lombardia.
Consideriamo gravissimo, oltre che lesivo delle prerogative istituzionali di Regione Lombardia, che il futuro assetto istituzionale, organizzativo e gestionale di una delle principali aree protette d’Italia sia deciso unilateralmente senza un preventivo confronto con tutti gli interlocutori interessati (Ente Parco, Ministero dell’Ambiente, Province autonome di Trento e di Bolzano, Regione Lombardia, Comuni del Parco, comunità locali, mondo scientifico, associazioni di protezione ambientale, cittadini). Oggi come allora, si ritiene necessario che Regione Lombardia agisca esercitando le prerogative istituzionali che dovrebbero vederla, con pari dignità, partecipe di decisioni così rilevanti per un'area che ricopre il 2,5% del territorio regionale, portando la questione all’esame del Consiglio Regionale della Lombardia, marcando la differenza con la vicina Regione a statuto speciale, in cui la questione non è stata portata neppure nelle assemblee elettive delle Province Autonome.
Crediamo che sia assolutamente inaccettabile che il destino di un'area protetta così importante, istituita, lo ricordiamo, nel lontano 1935, venga definito all'interno di un direttorio ristretto, pur costituzionalmente riconosciuto, formato da 12 membri in alcun modo rappresentativi delle comunità -locali e regionali- di riferimento, ed entro cui non siede nemmeno un rappresentante della regione in cui si estende il 45% del territorio protetto.
Per questo siamo a esortare i Consiglieri Regionali della Lombardia all'assunzione urgente di una determinazione che, nel far valere le prerogative istituzionali della nostra regione, imponga di sospendere la norma di attuazione sul Parco Nazionale dello Stelvio in attesa di un approfondito esame della problematica
- nelle Commissioni Consiliari Regionali
- nel Consiglio Regionale della Lombardia
- nei Consigli Provinciali di Trento e di Bolzano e della Regione Trentino – Alto Adige/ Südtirol
gli scriventi ribadiscono la loro contrarietà allo smembramento del Parco Nazionale dello Stelvio, rivendicano per il Parco una pianificazione unitaria e il mantenimento della presenza di una governance aperta alle associazioni e al loro ruolo di garanzia e partecipazione, e al contempo auspicano che la Regione Lombardia si faccia promotrice di una energica iniziativa 'rifondativa' del Parco Nazionale, con la consapevolezza che la grave situazione attuale, per quanto inaccettabile per modalità istituzionale, assume come giustificanti proprio l'inerzia e i comportamenti contraddittori (emersi con particolare virulenza in occasione dei Mondiali di Sci del 2005 svoltisi nel territorio protetto, giustamente additati a livello internazionale come pessima pratica sotto il profilo della sostenibilità ambientale) della componente lombarda del Consorzio di Gestione.
Fiduciosi in una fattiva assunzione di ruolo da parte del Consiglio Regionale della Lombardia, con l'occasione porgiamo cordiali saluti